Quanto sappiamo sull'Intelligenza Artificiale? È davvero alla portata di tutti?
Proviamo a sintetizzare alcuni punti chiave per cercare di capire qualcosa in più sul mondo IA
L'intelligenza artificiale (IA) è una tecnologia in rapidissima evoluzione che già da parecchi anni viene impiegata in un'ampia gamma di settori, programmi e App. Fondamentalmente l'IA può essere utilizzata per due scopi: migliorare l'esperienza delle persone nella vita quotidiana (offrendo assistenza e servizi rapidi, personalizzando l’esperienza o ampliando le loro potenzialità creative, cognitive e sensoriali) oppure affiancare professionisti, imprese e organizzazioni nello svolgere mansioni e attività complesse attraverso forme di consulenza, supporto alla ricerca e mediazione progettuale o applicativa.
Non dimentichiamoci infatti che ogni tecnologia e ogni dispositivo nascono allo scopo di mediare e ampliare l’esperienza umana: laddove il corpo, la resistenza, i limiti imposti dalla fisica o altre caratteristiche della mente umana non possono arrivare intervengono i media, ovvero strumenti progettati e creati dalle persone che consentono loro di “aumentare”, moltiplicare o replicare funzioni corporee o mentali.
Proprio in quest’ottica possiamo intendere anche l'Intelligenza Artificiale: una sorta di estensione tecnologica delle possibilità umane che, attraverso precisi processi di progettazione e addestramento (tra cui il machine learning, il deep learning e altre forme di training che costituiscono l’essenza di quella che oggi chiamiamo genericamente Intelligenza Artificiale) realizza in tempi rapidissimi compiti specifici, creativi e addirittura predittivi in relazione a un particolare contesto, con precisi scopi e a partire da determinati elementi dati.
Da anni familiarizziamo con diverse applicazioni dell’IA al punto tale da non essere quasi più sorpresi quando scopriamo di essere anticipati, guidati e assistiti costantemente nelle nostre interazioni digitali e assorbiamo ogni giorno gli aggiornamenti e le implementazioni di questa tecnologia in modo tutto sommato immediato. Diamo ormai per scontata l’interazione con gli assistenti vocali presenti nelle nostre case, auto e dispositivi, così come le conversazioni con le chatbot pronte ad intervenire al nostro fianco mentre navighiamo in rete o il fatto di essere riconosciuti o meno dalle app di sicurezza e autenticazione che “conoscono” il nostro sguardo, le nostre impronte digitali, i nostri volti. Per non parlare delle piattaforme di streaming o dei social media, dove quello che comunemente (e con una ironica dose di sarcasmo e diffidenza) viene chiamato “algoritmo” seleziona e sceglie al nostro posto tra miliardi di possibilità, quelle immagini, informazioni, prodotti o percorsi che fanno, ça va sans dire, proprio al caso nostro e in quel preciso momento della giornata. Sono esattamente i meccanismi di addestramento e apprendimento che consentono tutto questo, ossia tecnologie digitali (artificiali) che replicano o simulano l’intelligenza umana imitandone i processi di comprensione, memorizzazione, calcolo, predizione, selezione, scelta…
Inoltre, i campi e i settori di applicazione dell’IA si estendono come sappiamo molto al di là dell’esperienza quotidiana dell’utente medio, diventata appunto così familiare da non stupirci più di tanto: i processi di machine learning e deep learning sono anche alla base dei sistemi di sicurezza di banche o aeroporti, dei sistemi di diagnostica medica e di ricerca scientifica e farmaceutica, delle tecnologie utilizzate nel settore del trading e del mercato azionario, nonché dei sistemi di sicurezza informatica.
Ma perché tanto clamore - adesso - se da anni l’IA è nelle nostre vite?
Una delle tante risposte a questa domanda potrebbe risiedere nella diffusione capillare e nei livelli di accuratezza raggiunti (e in continua progressione) da questa tecnologia, che l’ha resa pervasiva nelle nostre vite a tal punto da non essere appunto più riconoscibile come artificiale, bensì vissuta come naturale e in alcuni casi umanizzata. In altre parole stiamo osservando che la nostra interazione con “le macchine” sta trasformando (solo nella nostra percezione, per ora) questi media in consulenti, consiglieri o amici a cui rivolgersi come si farebbe con una persona reale; oppure ci sorprendiamo ad aver delegato ad app o programmi scelte che in un altro momento avremmo ponderato con maggior dispendio di tempo ed energie; o infine ci accorgiamo che non siamo stati noi a scegliere un determinato percorso in rete o un canale di acquisto o di ricerca di informazioni dimenticando che stiamo interagendo con una funzione tecnologia, un medium appunto che possiamo orientare e impostare di volta in volta per farci da assistente anziché da guida.
Un’altra risposta, più tecnica, potrebbe invece riguardare la natura stessa dei processi di addestramento, apprendimento ed elaborazione delle variabili con cui alcuni programmi e sistemi sono configurati: parliamo dello sviluppo esponenziale e multiforme della cosiddetta GenAI.
Le app e i sistemi sopra citati così come nel caso di molti altri programmi, utilizzano per lo più due forme di Intelligenza Artificiale: quella detta Discriminativa e la GenAI (Intelligenza Artificiale Generativa). In alcuni casi le due tipologie sono interdipendenti all’interno dello stesso programma/sistema, in altri sono presenti o l’una o l’altra delle due. Mentre l'IA Discriminativa è addestrata per focalizzarsi su previsione di risultati, classificazione, scelta di dati tra miliardi di altri dati che vengono via via esclusi dalla ricerca o associati tra loro ed altri procedimenti affini che rispondono ad una logica appunto discriminativa e mirata, quella che negli ultimissimi tempi è salita alla ribalta è la GenAI, in grado di generare qualcosa (una forma, un testo, uno scenario, una soluzione, una formula…) che fino a quel momento non esisteva, o non esisteva in quella forma o in quel contesto. Questo è possibile perché la GenAI, partendo da una serie di informazioni (comandi, richieste, prompt…) ricevuti, attua ricerche, selezioni e associazioni sulla base di meccanismi di apprendimento di tipo automatico e auto-supervisionato o non supervisionato (dall’essere umano): impara dalla sua stessa esperienza (machine learning) e in alcuni casi, arriva a stratificare le fasi di comprensione e memorizzazione rendendole sempre più approfondite (deep learning) e ottenendo effetti sempre più “naturali” e realistici. Di conseguenza si assiste ad un procedimento molto più simile a quello compiuto dall’esperienza umana, in grado di comprendere, contestualizzare, intuire sottotesti, sfumature e rimandi a partire da un comando ricevuto in una modalità complessa e imprevedibile.
Questo mix affascinante di calcolo e intuizione, discriminazione e complessità rende la tecnologia IA e in particolare quella Generativa, multiforme e apparentemente illimitata nelle sue possibili applicazioni e sviluppi. È dunque comprensibile, anzi rassicurante oseremmo dire, che su più fronti e da più prospettive ci si stia interrogando sull’impatto e il potere trasformativo che tutto ciò sta avendo e avrà sulla vita: dal piano etico al piano giuridico, da quello ambientale a quello geopolitico, da quello strettamente economico a quello sociale e cognitivo.
Lungi dal voler semplificare la questione, sarebbe già un passo molto utile non dimenticare che l’IA nasce come un sorprendente medium, uno strumento tecnologico che dovrebbe amplificare l’esperienza umana senza che questo significhi smettere di allenare anche le nostre Intelligenze, tra cui quella Discriminativa (e critica) e quella Generativa: creativa e intuitiva.