Il nuovo logo di Google
A Mountain View spariscono le grazie e si saturano i colori
Sveglia. Posponi. Sveglia di nuovo… Ok, è ora di alzarsi. Caffè e si accende il computer. Si parte come sempre da quella pagina bianca che da quasi vent’anni ci fa sapere se siamo connessi oppure no: Google. Un momento… Ma… Cos’è successo al logo di Google? Dove sono le grazie e quella “G” così retrò? Non è possibile, Google ha cambiato il suo logo? Basta una rapida ricerca su Bing (stiamo scherzando, ovviamente) ed ecco la verità svelata proprio dall’azienda di Mountain View. Google ha abbandonato il suo storico logo, divenuto ormai un lovemark a tutti gli effetti, per abbracciare un font sans serif, più pulito, “più adatto alla visualizzazione da vari dispositivi” spiegano gli stessi padri fondatori del motore di ricerca Sergey Brin e Larry Page.
Del resto gli stessi Brin e Page lo avevano affermato poche settimane fa alla nascita di Alphabet, grande società della quale Google sarebbe stato solo uno dei tanti satelliti. In effetti ci eravamo un po’ insospettiti alla presentazione di Alphabet, quando il motto “G is for Google” che dava il titolo all’articolo faceva intravedere una strana “G”, senza grazie e assolutamente non retrò. Era proprio la “G” del nuovo logo di Google.
E così addio font Catull che caratterizzava il motore di ricerca dal 1999. Cambiata anche la favicon (quando ci abitueremo nel vederla lì in alto sulle schede di navigazione?) e quindi l’icona (dalla “g” bianca in corsivo su fondo azzurro alla nuova “G” in quattro colori). A proposito di colori, i designer hanno anche pensato di aggiornare la palette: invariato l’azzurro, leggermente più saturi il verde, il giallo e il rosso. Per gli amanti della grafica ci addentriamo ancor di più nelle specifiche: Blue #4285F4, Green #34A853, Yellow #FBBC05, Red #EA4335. Il nuovo font è il Product Sans, senza grazie e completamente diverso dal precedente. Un font decisamente tondeggiante che ne aiuta la lettura in digitale, mentre resta l’inclinazione sulla “e”. Il nuovo logo, che ovviamente si è andato a piazzare su tutti i prodotti Google (Google Plus, Maps, Translate e gli altri) abbraccia enormemente la tendenza al material design che Google ha fatto sua negli ultimi anni grazie soprattutto al designer Matias Duarte. Grafica flat, colori basic e riduzione all’osso del superfluo sono ormai un must, un po’ come per Apple.
Insomma, possiamo veramente parlare di rebranding, perché ad essere cambiato non è solamente un logo, bensì un modo di pensare e di lavorare. Google è sempre stato un passo avanti a tutti (facendo di tanto in tanto anche dei flop, sia chiaro) ma ora era giunto il momento di scrollarsi di dosso quella primordialità della rete. Ecco, Google ha definitivamente chiuso la porta degli anni Novanta e noi ci sentiamo tutti un po’ più vecchi, un po’ più 56k.
Big G entra in una nuova era digitale che vede la fruizione dei contenuti online non più solo da computer, ma anche - e soprattutto - da smartphone, tablet, orologi e così via. Ad affermarlo sono proprio Brin e Page:
“Oggi introduciamo un nuovo linguaggio visivo che rispecchia questa tendenza e mostra quando la magia di Google è al lavoro per noi, anche sugli schermi più piccoli. Abbiamo preso il logo e il brand di Google - originariamente pensati per una pagina visualizzata da computer - e li abbiamo ripensati per un mondo sempre connesso attraverso un numero crescente di dispositivi e di modalità di input diversi tra loro (vocale, digitazione e touch)".
Ovviamente la rete non ha preso bene questo cambiamento (e quando mai?), tanto che l’agenzia Ad Age Readers ha immediatamente sottoposto oltre mille persone a un sondaggio. Il risultato? Al 60% degli intervistati non piace il nuovo logo e vorrebbero tornare al vecchio. Anche designer autorevoli si sono scagliati contro questa scelta, mentre altri l’hanno definita una conseguenza naturale dei tempi attuali. Del resto negli ultimi mesi abbiamo assistito al restyling di numerosi brand, tra cui Facebook, Alitalia, Lg, Verizon e altri. Il comune denominatore? Una linea di semplificazione e fluidità, perché piccoli dispositivi odiano le grazie e il superfluo. E che la cosa piaccia o meno, dovremmo adeguarci a questa tendenza. Almeno fino a quel giorno in cui ci andrà di traverso la Coca-Cola notandone lo storico logo in Helvetica.