Facebook non è il Far West. La diffamazione sui social è aggravata.
La Cassazione con una recente sentenza conferma pene più severe per chi scrive un post o un commento offensivo su Facebook.
Finalmente. Già, perché ormai non si può più parlare di social network come una novità, come un qualcosa da scoprire e quindi un luogo dove con la scusa della scarsa conoscenza è concesso tutto. Alla soglia dei 2 miliardi di utenti nel mondo, è ora scossa di capire che quella linea che divide Facebook dalla realtà non è più così marcata. Anzi, è sparita del tutto.
Purtroppo in alcuni contesti Facebook sembra un Far West, dove "calci e pugni" sono all'ordine del giorno, e non è così difficile imbattersi in commenti offensivi, minacce o insulti. La definizione leoni da tastiera è ormai abusata, ma sono sempre troppe le situazioni in cui un utente (che su Facebook è quasi sempre qualcuno ben identificabile con foto, nome, cognome e svariate informazioni personali) crede che il monitor del proprio computer o il display del proprio smartphone sia uno scudo dietro il quale nascondersi per poter lanciare qualsiasi cosa, senza conseguenze. A volte viene fatto addirittura in nome della libertà di espressione, ma basta un minimo di civiltà per rendersi conto che essa è tutt'altra cosa.
A mettere in chiaro le regole del gioco, ci ha pensato la Corte di Cassazione, che con la sentenza n. 50/2017 considera l'offesa via Facebook come diffamazione aggravata. Tale reato, nel nostro ordinamento giuridico, prevede pene dai 6 mesi ai 3 anni di reclusione, o multe non inferiori ai 516 Euro (oltre ad un eventuale risarcimento alla persona offesa). Sentenze e condanne quindi più pesanti rispetto alla diffamazione "semplice".
Proviamo a fare chiarezza. Secondo la legge, si parla di ingiuria quando viene offeso l'onore o il decoro di una persona presente, mentre la diffamazione è quando l'offeso non è presente e l'offesa avviene attraverso una comunicazione che coinvolge più persone. Un insulto su Facebook è quindi considerato diffamazione vista l'assenza fisica dell'offeso, e la diffamazione è aggravata in quanto «recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico». Su Facebook, visto il numero di utenti che possono essere raggiunti, la diffusione dell'offesa può infatti essere potenzialmente vastissima.
E allora ben vengano sentenze come questa e ben venga tutto quello che può contribuire a creare la consapevolezza che i social network nel 2017 non sono dei giocattoli per bambini.